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Gli antichi romani dicevano “errando discitur”, cioè “sbagliando si impara”. E dicevano anche “errare humanum est”, ovvero “sbagliare è umano”.

Sono passati 2 millenni, eppure quelli che sembrano solo antichi motti di circostanza sono, a detta degli uomini di affari più di successo a mondo, due dei “dogmi” dell’essere imprenditori oggi.

I casi di chi è riuscito a risalire la china dopo un’inesauribile serie di insuccessi sono tantissimi. Ad esempio Jeff Bezos, il CEO di Amazon, che fino a pochi anni prima del boom che lo ha reso l’uomo più ricco del mondo ha visto il fallimento, nell’ordine, di una società di booking alberghiero, di un gateway di pagamento, di un sito di aste online e di uno smartphone.

Lui stesso ha ammesso che se non avesse compiuto questi errori non avrebbe accumulato il know-how necessario per dar vita al sito leader incontrastato nell’ecommerce, realtà in cui ha comunque commesso degli errori, perché l’errore fa parte in modo indissolubile del lavoro.

Ho fatto errori perdendo miliardi di dollari, letteralmente miliardi. Le aziende che non accettano l’errore e non continuano a sperimentare presto o tardi si ritroveranno nella pessima situazione in cui l’unica cosa che potranno fare è pregare la Vergine Maria fino alla chiusura della loro attività. Jeff Bezos

Nel mio piccolo, alla luce del mio “primo ventennio nel mondo del lavoro”, anche io non posso che costatare (sebbene costellato da tante soddisfazioni), che sia stato “farcito” da tanti piccoli, medi e grandi errori!

Un esempio? Il mio LCM Websitemaker, un cms proprietario che ho chiuso definitivamente per obsolescenza e perché il modello di business col tempo si è rivelato insostenibile (ne parlo anche qui). E di errori continuo a farne: i lettori più esperti di questo blog si saranno accorti del suo “poco focus” (posizionarsi come blog di “marketing e comunicazione” è tanta roba!). Lo so, ma giuro che… presto correggerò il tiro!

Ma la domanda è: cosa si guadagna dagli errori?

Ci ho pensato un po’ su deducendo che, generalmente, quando si sbaglia si ottengono due vantaggi: uno diretto ed uno indiretto.

Vantaggio diretto

Il vantaggio diretto è il feedback che scaturisce da ogni errore commesso. Quando sbagliamo abbiamo la possibilità di ricavare dei dati da poter usare per correggere l’errore facendo sì che non si ripeta, quindi per migliorare. Ma la “conditio sine qua non” per riuscirci è essere umili, diversamente mancherebbe la volontà e la capacità di riconoscerli ed ammetterli.

Possiamo essere noi stessi ad accorgerci di aver commesso un errore o può essere qualcun altro a farcelo notare, con le buone o con le cattive. In entrambi i casi è richiesto un mindset aperto al cambiamento, diversamente saremo sempre ciechi a qualsiasi feedback interno o esterno proveniente da qualsiasi mezzo e con modi più o meno civili.

Non sono poche le aziende che non si accorgono dell’enorme opportunità che in verità un errore può donare.

Se però per i capi d’azienda la colpa è sempre esterna e mai interna (e quindi il suddetto mindset và a farsi benedire lasciando spazio ai più beceri dei modelli gestionali in cui l’errore è visto come un tabù) si pongono le basi per l’eterno fallimento, cioè la situazione in cui non solo non ci si migliorare ma addirittura si peggiora.

Vantaggio indiretto

Il vantaggio indiretto si ottiene quando oltre che umili siamo anche coraggiosi. Con ciò intendo dire che se, oltre a correggere l’errore, comunichiamo all’esterno i nostri errori, ammettendo quindi il nostro fallimento, otteniamo qualcosa che persino l’atto di raccontare i nostri successi, per quanto documentati, potrebbe non generare: credibilità.

Per un retaggio culturale innescato spesso dall’educazione genitoriale (scommetto che anche i tuoi genitori ti dicevano continuamente “stai attento!”, impedendoti di fatto di sbagliare, e quindi di crescere) non è sempre cosa semplice ammetterli, figuriamoci raccontarli!

Eppure riuscire a farlo è importante per due motivi:

1. Raccontando i nostri successi, spesso diventiamo poco credibili. Ciò a volte accade anche se siamo in grado di dimostrarli ampiamente e senza alcuna forzatura: una situazione che può aver l’effetto negativo di allontanare le persone, quindi in termini “markettari”, i tuoi clienti.

2. Raccontando i nostri fallimenti diventiamo empatici, con l’effetto positivo di avvicinare a noi le persone. Questo accade perché ci mettiamo a nudo, risultando più veri e sinceri. Tutte le persone falliscono, e parlarne non può che unirle facendole sentire “vicine” nella condivisione di un problema comune che si è vissuto in prima persona.

Conclusione

Dalla gestione virtuosa degli errori in azienda si deduce che trasparenza ed etica siano i valori fondamentali da perseguire. Ma sono umiltà e coraggio i valori che l’imprenditore deve dimostrare per raccogliere i frutti del suo sforzo di cambiare. Oggi, ancor più di ieri, sporcarsi le mani, provare, testare, progettare, modellare, sperimentare sono cose importantissime senza cui un imprenditore moderno non può crescere. È un po’ come giocare, come quando eravamo bambini e giocavamo per simulare la vita da grandi. In quel contesto sbagliare era fondamentale, per correggerci da soli, ed imparare.

Infatti quei genitori che ci impedivano di sbagliare, facendoci vivere sotto una campana di vetro, ci impedivano di crescere!

Riprendendo quindi un concetto che avevo già accennato in questo articolo, l’imprenditore oggi è un po’ come un bambino. E come tale, non a caso, non può permettersi di sentirsi grande altrimenti smetterebbe, di fatto, di crescere: giocare, sbagliare e studiare sono senza ombra di dubbio per lui i verbi più importanti. I verbi dell’imprenditore che guarda con fiducia al futuro.

Proprio come un bambino che sbaglia senza vergognarsene!


Leo Cascio

Leo Cascio

Sono brand builder, creator, consulente, formatore e divulgatore di web marketing. Autore del libro "Personal Branding sui Social" (link Amazon).
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