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Quando nell’ormai lontano 2002 fondai la mia agenzia LCM Your Global Partner (in cui nell’acronimo sono racchiuse le mie iniziali con l’aggiunta della “M” di “Media”), quasi nessuno capì il senso di quel nome. Molti si chiesero: cosa avrà voluto comunicare Leo Cascio con quel claim “il tuo partner globale”?

In verità fu un’intuizione che spiegava il corretto modo di intendere la consulenza negli anni 2000, dunque cos’era e cosa sarebbe stata sempre più la consulenza di marketing e comunicazione da quegli anni a venire: nella mia “visione” non una semplice “fornitura di servizi”, ma una partnership, ovvero una collaborazione paritaria tra il consulente e l’imprenditore con lo scopo di raggiungere “insieme” degli obiettivi.

Vent’anni fa il senso di quel nome era difficile da capire, infatti allora il consulente di marketing era una figura piuttosto “fumosa” (ancor più che oggi) che, oltretutto, veniva spesso erroneamente associata al “pubblicitario” (ovvero a chi, a fronte di un corrispettivo, in un mercenario e freddo do-ut-des, forniva visibilità).

Ma l’economia in quest’arco di tempo si è evoluta ed aperta grazie al web, e con essa anche l’atteggiamento imprenditoriale alla luce dei risultati acquisibili è cambiato. E dunque anche il modo in cui viene percepito il consulente di marketing (o forse no? lo scoprirai solo leggendo…).

Com’è cambiato l’imprenditore?

Prima dell’avvento della web economy, un imprenditore poteva tranquillamente andare “in attivo” basando il suo business sulle sue “certezze”. In fondo gli bastava coltivare il proprio “orticello”, ovvero la sua azienda ben avviata frequentata dai soliti abitudinari clienti che gli generavano un incasso costante. Dunque, incurante del “mercato oltre la siepe”, si imponeva nella sua realtà lavorativa come “figura centrale”: insomma un leader decisionale irremovibile, nonché giustiziere senza scrupoli del suo “entourage”.

Senza mezzi termini, insomma, una sorta di padre padrone aziendale: il famigerato “imprendittatore”!

La crisi: il vero “spartiacque” imprenditoriale

Quando però arrivò la crisi, questa mise con le spalle al muro un po’ tutti, spingendo in particolare l’imprenditore a cambiare mentalità ed approccio.

C’è chi non l’ha fatto: sono quelle aziende con la mentalità chiusa, con capi gelosi e timorosi di esporsi ed evolversi, che la crisi l’hanno subita più di tutte.

Altre hanno invece reagito applicando un approccio di vero ascolto nei confronti dei clienti (intuendone bisogni ed accettandone le critiche in un processo di costante miglioramento), e soprattutto adottando una politica di apertura totale nei confronti dei collaboratori, puntando ad un ambiente lavorativo non più “gerarchico” ma basato sulla fiducia e la condivisione.

Basta vedere come si è evoluto l’ambiente di lavoro negli ultimi 20 anni, soprattutto nel post-crisi: siamo passati da stanze private e scrivanie divisorie ad open-space in cui capi e dipendenti lavorano fianco a fianco.

Non è dunque un caso che le aziende che hanno tratto maggior vantaggio dalla crisi siano quelle che all’esterno hanno intrecciato una fitta rete di collaboratori, mentre all’interno hanno respirato un’aria fresca e positiva, in cui i dipendenti sono stimolati e premiati, e mai giudicati. Ambienti di lavoro in cui anche se un “subalterno” venisse giudicato, gli si darebbe comunque modo di giudicare il “superiore”. Tutto ciò sempre nell’ottica della crescita e del miglioramento collettivo, in un circolo virtuoso per il beneficio anche dei conti aziendali.

Anno 2019: sono cambiati proprio tutti?

Purtroppo no!

In questo scenario ci sono ancora oggi, a distanza di parecchi anni, tanti, tantissimi imprenditori (o meglio, chi vorrebbe atteggiarsi a tali, ma con le idee parecchio confuse) che non hanno ben chiari quei concetti. Concetti che un uomo di cultura media dovrebbe sapere, e che invece ignorano trincerandosi dietro i soliti vecchi cliché sulla “leadership”.

Tornando infatti all’intro in cui accennavo a quanto fosse raro che un imprenditore mi vedesse come partner, la loro leadership “farlocca” si manifesta anche nel rapporto con il consulente di marketing.

Come viene percepito oggi il consulente di marketing?

Oggi il consulente di marketing è una figura che senz’altro desta curiosità ed interesse, infatti anche gli “imprendittatori” ne intuiscono l’importanza per l’avvio di un processo di lancio o rilancio di un’azienda, ma che sempre per quell’idea di rimarcare l’essere “capi assoluti” non capiscono o addirittura non accettano, finendo sempre per vedere il suo ruolo come un fornitore di servizi e niente più, o peggio ancora alla stregua di un comune dipendente.

Insomma, ancor oggi molti credono che con i soldi possano “acquistare” un professionista, che cioè pagando un tot. al mese questo possa, anzi debba, fornirgli una certa gamma di servizi esplicitati prima in un preventivo, e poi in un contratto.

Certo, è vero che un “contratto di fornitura”, con un elenco di task con scadenze che il bravo consulente tiene a rispettare scrupolosamente anche a costo di risultare insistente nei solleciti, è sempre importante e dovuto.

Ma nella figura del consulente di marketing non c’è solo quello, c’è ben altro. Ciò che non è scritto in contratto ma che si dovrebbe sapere è il seguente semplice concetto che tutti, ma proprio tutti gli imprenditori dovrebbero avere ben impresso nel cervello.

Il consulente di marketing è un “manager a tempo”

È in sostanza un partner pari grado dell’imprenditore. Non è dunque un “subalterno” da trattare secondo una logica, passatemi l’espressione, di “prostituzione intellettuale”.

Nel rapporto tra imprenditore e consulente deve vigere un rapporto che non è di certo di amicizia, ma che comunque ci si avvicina parecchio. Questo perché basato sulla fiducia, sull’ascolto, sull’accoglimento anche di proposte (in termini di soluzioni possibili) che il consulente potrà fare, e che l’imprenditore potrà anche non appoggiare, ma che in ogni caso non vanno viste come una minaccia alla sua leadership, ma indicazioni in buona fede che hanno l’unico scopo di far raggiungere gli obiettivi di business nel migliore dei modi e più in fretta.

Il consulente di marketing, e nel mio caso di web marketing, è insomma un “manager in affitto”, un partner cioè che deve essere messo nelle condizioni di operare in un ambiente in cui si respiri un clima di fiducia, in cui insieme all’imprenditore ed il suo staff (a cui possono aggiungersi anche collaboratori suggeriti dal consulente stesso) si eserciti un continuo scambio di idee e possibili soluzioni, sia che si tratti di rendere un blog in grado di monetizzare o un e-commerce di vendere di più.

È questo il genere di imprenditore, ossia chi comprende e rispetta la figura del consulente di marketing, che può davvero sperare di veder crescere e prosperare il proprio business. Non chi “compra servizi”, ma chi investe in un progetto lasciandosi aiutare da chi ha competenze che lui non ha!

Lo dico con amarezza, ma è la verità: chi con egocentrismo non si adegua a questa visione è destinato al fallimento professionale. E, a mio parere, non abbracciando una filosofia di altruistica fiducia negli altri (cioè non solo consequenziale), anche a quello personale.


Leo Cascio

Leo Cascio

Sono brand builder, creator, consulente, formatore e divulgatore di web marketing. Autore del libro "Personal Branding sui Social" (link Amazon).
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