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Tutti comunicano. Per assurdo anche chi non proferisce parola, rimanendo “muto come un pesce”, lo fa.

Ed in modo ancora più assurdo persino “certi morti” comunicano: i grandi personaggi dell’umanità, nonostante siano defunti da un pezzo, lo fanno ancora. Mi riferisco soprattutto a chi nella vita ha lasciato un segno, dando un contributo positivo al genere umano: oggi anche loro, attraverso i libri di storia, in qualche modo comunicano ancora riuscendo ad essere… più vivi dei vivi!

Perché ti faccio questa premessa?

Perché, oltre a ricordare il primo assioma della comunicazione “è impossibile non comunicare”, non solo devi comprendere quanto sia importante comunicare, ma che farlo bene è altrettanto importante: è un principio di vita, una cosa che in un certo senso può persino renderti immortale.

O piuttosto, quando non ci sarai più, vorrai cadere nell’eterno oblio? Non credo che tu lo voglia.

Dunque, se anche tu come me non ti accontenti di esistere ma nel tuo piccolo vuoi lasciare il segno, faresti bene a comprendere bene il significato, spesso frainteso, più vero e profondo della parola “comunicare” e farlo tuo nel migliore dei modi.

Sfatiamo un falso mito

Voglio metterti intanto in guardia delle false credenze e dalle banalizzazioni che ancora imperano nella nostra società.

È infatti purtroppo idea diffusa che comunicare sia un gesto unilaterale. Moltissimi credono che comunicare sia espressione del proprio “io” attraverso messaggi sensoriali di svariati tipi, ma che partono tutti da una fonte e che giungono a destinazione, ma mai viceversa.

D’altronde la parola stessa “comunicazione” viene purtroppo, e direi anche ingenuamente, legata solo ad un sfera economica più che a quella personale ed umana di ciascuno di noi, come se riguardasse solo la pubblicità: un meccanismo che per definizione consente di generare vendite grazie alla trasmissione di messaggi da un mittente ad una destinatario che li subisce passivamente. Raramente la parola comunicazione viene usata in ambito ad esempio familiare, come se non gli appartenga. Sbagliatissimo!

Per fortuna oggi questa falsa credenza, sebbene ancora diffusa, è stata mitigata dai social: se prima per un’azienda comunicare era un gesto in effetti unilaterale e mono-direzionale, oggi non solo è bi-direzionale (il destinatario ha modo di rispondergli in tempo reale), ma anche multi-direzionale (il destinatario ha modo di interagire e confrontarsi con altri destinatari).

Ma se nell’ambiente imprenditoriale molti hanno ben compreso che comunicare è qualcosa di molto vivo ed interattivo, e che ha molto a che fare con le relazioni umane, chi imprenditore non è (o crede di non esserlo, per capire cosa intendo leggi qui) deve ancora ben capire il significato della corretta comunicazione, facendola propria anche nella vita privata.

E se pensiamo che il mondo del lavoro è già, e sarà sempre più in futuro, fatto da privati trasformati/da trasformare in partite iva (dunque imprenditori), si capisce che questo sforzo cognitivo può essere vitale anche per chi oggi crede, sbagliando, di poterne fare a meno.

A chi mi riferisco? Ai tantissimi utenti della rete, ed in particolare dei social network come Facebook. La stragrande maggioranza di questi, nonostante l’estrema velocità e possibilità di farlo li induca a pensare diversamente, non comunica affatto bene, credendosi immune da queste dinamiche. In buona sostanza questi individui subiscono passivamente la comunicazione altrui.

Dunque, se la dimensione “business” è stata pienamente investita da un approccio personale ed umano, con le aziende che, anche se a rilento, stanno iniziando a capire che comunicare significa soprattutto relazionarsi con i clienti piuttosto che sparare messaggi pubblicitari a raffica, non si può dire altrettanto dei singoli che, nella stragrande maggioranza dei casi, hanno un approccio passivo e perdono tanto tempo ed energie dietro ad infinite e futili discussioni sulle chat pubbliche, ignorando totalmente il concetto chiave del “buon comunicare”.

E pensare che si tratta di un concetto non nato dai social, ma è insito da sempre nella parola stessa “comunicazione”.

Cosa significa, dunque, “comunicare”?

Spulciando lo Zanichelli scopriamo che il verbo “comunicare” ha origini cristiane e deriva dalla parola latina “communicare”, che vuol dire “partecipare all’altare”, ovvero “partecipare alla mensa eucaristica”.

È la sua stessa etimologia che spiega tutto!

Comunicare quindi è dare e ricevere, è partecipazione, è dialogo, è interazione, è relazione. Comunicare è esprimersi e allo stesso tempo ascoltare insieme.

Dunque quando decidi di comunicare bene, non puoi farlo in modo unilaterale e mono-direzionale, ma devi farlo insieme al tuo interlocutore.

Questo è un concetto apparentemente banale ma che non è sempre facile da attuare perché richiede un ingrediente raro: l’umiltà. E se non c’è umiltà non ci può essere ascolto, in quanto, contrariamente al famoso pensiero di Socrate “so di non sapere” si crede di sapere tutto, o peggio ancora si crede di avere in pugno la verità assoluta.

Dunque il più delle volte o non si ascolta affatto o si “finge” di ascoltare, ma senza farlo davvero.

Nel mio ambiente, ad esempio, si assiste ogni giorno alla comunicazione di tanti consulenti e divulgatori della comunicazione e del marketing. Scorrendo la newsfeed dei tuoi social probabilmente ne vedi a decine o centinaia, ogni giorno.

Converrai con me che molti di questi sembrano porsi su un piedistallo, magari divulgando contenuti anche molto giusti e condivisibili in merito all’argomento comunicazione, in cui elogiano anche la necessità di ascoltare. Il problema è che spesso lo fanno con un linguaggio non in linea con il loro target di riferimento.

Questo per farti capire che ascoltare non è solo “porgere l’orecchio” ma anche esprimersi con il linguaggio di chi ascolta.

È per questo che io, personalmente, rifuggo dall’idea di scrivere post troppo tecnici, perché il mio interlocutore (tipicamente la classica partita iva o il proprietario d’azienda, non certamente un altro consulente di web marketing) non li comprenderebbe. Se usassi troppi paroloni il risultato per me sarebbe quello di mettermi in luce come “grande esperto”, ma senza occuparmi della cosa più importante in una “sana e robusta comunicazione”: portare vero beneficio a chi segue.

La comunicazione, dunque, non è mai un gesto singolo, ma sempre condiviso tra due o più persone. Non solo dunque non è possibile affatto non comunicare, ma non è possibile farlo bene se lo si fa da soli.

Inoltre, soprattutto, comunicare è “donarsi” in modo davvero altruistico e genuino mettendo in secondo piano il proprio “io” mettendo al centro l’altro. Comunicare è prendersi cura reciprocamente (tra l’altro, curiosamente, se la scomponiamo viene fuori la parola “care” che in inglese significa proprio “curare”).

Nulla di banale e secondario, dunque, ma un concetto nobile da comprendere e mettere in pratica sia nella vita privata che in quella lavorativa.


Leo Cascio

Leo Cascio

Sono brand builder, creator, consulente, formatore e divulgatore di web marketing. Autore del libro "Personal Branding sui Social" (link Amazon).
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